RICORDI DI FANCIULLEZZA.(Il Forno- 25 Dicembre)

Il forno.

I ricordi e i sogni della mia fanciullezza non mi hanno mai abbandonato.. continuamente mi vengono in mente avvenimenti e sensazioni che ho provato nei miei primi anni di vita, come se questi fossero stati una scuola alla quale fare sempre riferimento per sempre…
Piace molto alla nostra  famiglia, magari davanti una tavolata, rievocare ricordi che vanno e vengono nella nostra mente per rivivere sensazioni felici che ormai appartengono ad  un epoca lontana e dimenticata, un mondo che non esiste più...

Abitavamo sulla Via Appia Nuova a Roma.. il nostro isolato e quello successivo, divisi dalla via Vigna Fabbri, erano praticamente gli ultimi prima di arrivare all'inizio della campagna romana…
Sulla via Fabbri, a destra del nostro isolato c'era anche una palazzina molto carina stile liberty, che da scuola elementare era divenuta una comoda abitazione per diverse famiglie.. era un punto di riferimento per noi ragazzini perché  andavamo a giocare sugli enormi gradoni posti prima  all'androne del portone.. la portinaia si chiamava "sora Maria", bella donna,  energica e dai modi spicci, sempre con la scopa di saggina in mano, ci sgridava spesso  e ci diceva di allontanarci
perché i nostri giochi davano "fastidio" alla gente che riposava…

Faceva da spartiacque fra il nostro e quell'isolato un meraviglioso giardino, pieno di alberi da frutta: albicocchi, nespoli, peri, ma la regina era lei: una stupenda, profumata e sublime mimosa che si elevava come una dea in mezzo al giardino, le era accanto un superbo, orgoglioso e odoroso melograno i cui frutti dolcissimi ci dissetavano in estate. A vederli, la mimosa e il melograno, davano la sensazione di amarsi profondamente... In primavera al mattino quando aprivamo le finestre, la mia casa si inondava di profumo inebriante…
Nel centro  del giardino c'era una stupenda e antica  fontana di pietra circondata da verde edera e ricoperta di muschio vellutato.. nel centro della fontana si elevava una pietra più grande delle altre, tutta ricoperta di verde vellutello e dalla quale usciva un ridente zampillo che ricadendo nella vasca formava delle cornici concentriche che andavano ad infrangersi sull'orlo di pietra levigata dall'acqua.. ..alcuni pesciolini rossi risalivano a galla per tentare di ingurgitare qualche piccolo insetto o mollusco caduto in acqua...
..al mattino dalla finestra del quarto piano della palazzina di fronte si affacciava una signora che millantava di essere stata un grande soprano ed iniziava a cantare a squarciagola brani delle più importanti opere..
..invece la signora dell'ultimo piano non usciva quasi mai da casa, dal suo balcone chiamava "Franchino! mi fai un grande favore mi compri un quarto di vino rosso e cinque sigarette", calava con una cordicella un piccolo cestino contenete i soldi e mi diceva "tieni il resto"
che non superava mai le cinque lire, giuste per tre pesciolini di liquirizia.

Nelle notti d'estate il gracchiare delle rane che facevano da coro al dolce canto dei grilli e il rumore dello zampillo sull'acqua diventavano una incantevole nenia, una ninna nanna che mi proiettava nel mondo fantastico dei sogni di fanciullo che ancora oggi sono indelebili nella mia memoria...

Alcune leggende tramandate dagli anziani, raccontavano di un uomo malato di licantropia.
Era soprannominato "Faccenda", non dava alcun fastidio e non faceva del male a nessuno.
Nelle notti di luna piena lo sentivano emettere dei versi simili ad un ululato di lupo, scavalcare
il cancello del giardino ed immergersi nella fontana per rinfrescarsi e sbollire la febbre della licantropia.. leggenda o realtà?...

La signora Berardi, proprietaria dei due immobili, aveva affidato la custodia del giardino alla "sora Francesca", la nostra portinaia e a suo marito Girolamo e loro ne avevano fatto un proprio credo: lo pulivano e l'accudivano come una propria creatura, facevano di tutto per tenere sempre ordinato e curato quell'oasi di verde…

All'inizio della via Vigna Fabbri insisteva un grosso cancello di ferro tutto arrugginito che noi chiamavamo familiarmente "cancellone", come punto di ritrovo di tutti i ragazzini.. l'anta sinistra era appena adagiata al muro e già mezza saccheggiata dai raccoglitori di ferro, quella di destra si reggeva malamente ad una colonna di cemento ormai somigliante più ad un vecchio rudere..
In passato questo cancello doveva essere stato la porta per accedere alla grande villa situata a metà della via Fabbri e di proprietà della famiglia "Barduagni" e che ora non viveva più lì.. tuttavia la villa resisteva verde e rigogliosa, con in mezzo una grande fontana in cui raccontavano ci fosse un gigantesco coccodrillo per spaventare i ragazzini e impedire che vi entrassero, dicevano anche che un enorme cane era a guardia della villa.
Questo cancello è stato anche involontario protagonista e testimone di un fatto molto triste.
Subito dopo la guerra di ordigni pericolosi lasciati nei combattimenti o dai bombardamenti ce
n'erano ancora tantissimi.
Tre ragazzi avevano trovato nel grande prato una bomba a mano inesplosa.
Seduti vicino al vecchio cancello, incoscienti e ignari di quello che poteva accadere, avevano cominciato a battere con un martelletto sulla bomba, improvvisamente questa esplose dilatando
il ventre con fuoriuscita dei visceri di quello più vicino, staccando l'avambraccio di un altro e ledere un occhio del terzo. Fu una grande tragedia che fece rattristare e affliggere tutto il quartiere.

Più avanti, confinante col ciglio della strada, c'era l'orto della "sora Rosa", una scorbutica vecchietta claudicante che viveva nella sua capannina in mezzo al praticello e che curava con amore i frutti del suo orticello.. i ragazzini più birbaccioni e più temerari ogni tanto entravano nell'orto per rubare insalata e i finocchi, la vecchietta usciva dalla capanna brandendo un bastone imprecando e sgridando verso i monellacci, ma nulla poteva contro quei scalmanati.. oggi al posto della grande villa e dell'orto ci sono dei grandi palazzoni di cemento armato.















La via Fabbri sfociava infine un un grandissimo prato che noi ragazzini chiamavamo semplicemente "pratone".. era la nostra prateria, il nostro far west, la felicità per le grandi scorrazzate, le sassaiole gli  innocenti  giochi di guerra.. oggi il "pratone" è divenuto il grande parco dell'Appia Antica...

Di fronte al nostro, proprio  all'angolo della via Appia con via fabbri, c'era il palazzo della famiglia "Piermattei" che possedeva una grande panetteria con annesso un enorme forno a legna...
Attigua all'isolato c'era la segheria del "sor Sacchetti".. insisteva su di un largo spiazzale sterrato in cui erano accatastate grosse colonne di legna e dove funzionava tutto il giorno una sega elettrica.. dava lavoro a diversi operai e vendeva legna a tutto il quartiere…
In questa segheria noi facevamo gli stessi giochi e gli stessi sogni imitando il famoso romanzo di Molnar "I ragazzi della via Pall"...


L'odore delle patate al forno è in grado di sprigionare ricordi positivi nella nostra mente, piacevoli ed emozionanti ricordi di infanzia.. Natale, Pasqua, grandi tavolate con i parenti..
Al  forno ci portavano a cuocere le teglie degli arrosti, del pollo con le patate, il Ciambellone, la pizza pasquale..tutti in fila per in attesa del turno di infornata...

Intanto   i "fornari", vestiti rigorosamente con magliettina e pantaloncini bianchi, infilavano, con un gesto veloce e con le lunghe e sottili pale di legno, il pane impastato nel forno bollente.
Al termine della cottura lo riversavano in capienti ceste di vimini dalle quale usciva un profumo rivitalizzante del pane appena cotto.. una delle più belle immagini da rivivere e ricordare..
un'altra bella immagine, quella delle persone che accorrevano al forno per accaparrarsi più filoni possibili avvolgendoli in fazzoletti di cotone quadrettati...

Ricordo da piccolo, nel periodo di Pasqua, mia mamma preparava con cura la pizza dolce, il pollo con le patate, i dolci.
Le teglie si portavano al forno coperte da un canovaccio.. i nostri vicini ci fermavano per vedere cosa c'era dentro.. i giorni  della settimana santa era un via vai di teglie.
Le strade profumavano di bontà e di dolci cotti.. il forno a legna aveva sapori e profumi ormai persi..
o quasi...

Arrivato il turno di  cuocere  le teglie, i "fornari" prendevano un blocchetto a doppio numero, metà l'attaccavano alla teglia, l'altra metà la consegnavano  a chi l'aveva portata.. 
Dopo circa un'ora arrivava  il momento di ritirare le teglie; la gente si accalcava all'entrata del forno ed iniziava la sfornata di tanto ben di dio.. "numero 15"- "sono io", poi "56"-" eccomi" e così via… qualche volta si sbagliava numeretto e subito ci si allarmava nel vedere che quel pollo non era il proprio o il dolce era di un altra persona.. qualcuno si lamentava perché notava che dalla teglia mancava un pezzetto di pollo, o di arrosto, o qualche patata.. a chi si lamentava i fornai rispondevano: "Signò noi pure dovemo magnà"..
Ma tutto finiva sempre bene, eravamo povera gente ma  c'era tanta  solidarietà ..

Tra i più bei ricordi di ragazzino è la Colazione di Pasqua, una tradizione alla quale mia madre non ha mai voluto rinunciare. La gioia di ritrovarsi tutti attorno ad un tavolo a gustare le specialità di stagione e godere di meravigliosi momenti in compagnia.

Il tavolo della camera da pranzo era addobbato a festa con una tovaglia bianchissima e pieno di leccornie pronto per essere benedetto dal sacerdote che arrivava al mattino presto per tutto il palazzo.
La tradizione recita che le vivande dovevano soddisfare il lungo digiuno di Quaresima.

Iniziavano i più piccoli a scartare le uova di cioccolato e  mangiarle insieme a fette di pizza al formaggio e a fette di dolcissima colomba pasquale ricolma di canditi e mandorle..
.. ma la tanto agognata sorpresa nell'uovo era quasi sempre deludente.

Mia madre serviva a tutti, oltre alla pizza salata, la coratella con i carciofi, il morbido salame "corallina", le uova sode, la cioccolata e fette di buonissima colomba dolce..
..non mancava mai il "Vin Santo"che annaffiava tutto questo ben di Dio.

Gli anni passano e resta la nostalgia dei ricordi. Ricordi che fanno bene all'anima.




25 DICEMBRE..
C'era una volta la famiglia, il Natale, il panettone, il forno, la parrocchia, il cinema la Domenica.
Fumavano i camini, alla messa le donne si coprivano il capo.

C’era aria di Natale: Il gelo, festa di lampadine, odori di paese, di muschio, di torrone di mandorle condite. 
Facce rosse di bambini infagottati, suonatori di cornamuse che arrivavano dalle campagne. 
Cesti di mandarini e di arance e la fragranza delle loro bucce. 

Immagini di stagioni lontane, sono momenti in cui il passato ritorna con prepotenza e grandi rimpianti.

C'erano i venditori di castagnaccio, gli arrotini, gli impagliatori di sedie, gli ombrellai, il fabbro con la bottega sempre aperta.

Nelle case il laghetto del presepe era fatto con pezzi di specchio e il cielo con la carta azzurra dei pacchi di pasta. Aspettavamo la mezzanotte con il bambinello in mano: Gesù che nasceva e finalmente potevamo metterlo nel fieno della piccola capanna di cartone insieme al bue e l'asinello.

La sera della vigilia era di prammatica il pungitopo, la tovaglia rossa ed il servizio buono quello delle grandi occasioni.
La vigilia imponeva l’anguilla, per i più ricchi il capitone, ma cena rigorosamente a base di pesce di broccoli e carciofi fritti.

Mettevamo la "letterina"sotto il piatto dei papà promettendo loro di essere sempre più buoni..
..in fondo, dopo i tanti baci, il P.S. "chiudi il foglio e apri il portafoglio". 
Qualche cuginetto leggeva la letterina ad alta voce e alla fine non mancavano mai le cento lire 
per tutti.
Anticipavamo la mezzanotte per correre sotto l'albero ad aspettare Babbo Natale con la finta 
barba bianca che portava regali per tutti.
Intanto mia madre si recava alla messa di mezzanotte insieme ad altre signore del palazzo.

Per il pranzo di Natale, nelle pentole bolliva il cappone e nel brodo bollivano i tortellini.
In cucina cuocevano  lenticchie e cotechino.
Bisognava indossare qualcosa di nuovo, perché, dicevano, riparava da una malattia.

A Natale il pranzo non finiva mai: iniziavi ma non sapevi quando finivi.
Dopo la tradizionale fetta di panettone i bicchieri erano vuoti, la tovaglia piena di briciole, qualche tovagliolo in terra e le mamme in parannanza che si sbrigavano a spicciare la tavola perché ci si apprestava ad una"tombolata" ad un "sette e mezzo" ad un "mercante in fiera".

Niente è di più bello della compagnia di chi si vuol bene, dell'amicizia, dell'amore.
Cosa è rimasto di questa realtà che rendeva felici le nostre vite??

Talvolta mi piacerebbe che il tempo si fermasse senza voltarmi dietro e senza guardare troppo lontano.



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