LETTERATURA.

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A 150 anni dalla nascita di Rudyard Kipling, famoso scrittore e poeta britannico di cui ricordiamo, tra i titoli più famosi che hanno fatto la storia della letteratura, l'indimenticabile "Libro della Giungla" e"Capitani Coraggiosi" , la sua poesia "Se" (del 1895), un meraviglioso inno alla vita, ci svela i suggerimenti che Kipling padre rivolge a suo figlio affinché riesca a diventare un "Uomo".


"SE"

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad avere fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e a non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall’odio,
e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio:

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
e trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita infrante,
E piegarti a ricostruirle con arnesi logori.

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non fiatare una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: “Tieni duro!”

Se riesci a parlare con la folla e a conservarti retto,
E a camminare coi Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l’amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni istante che passa,
Tua è la terra e tutto ciò che è in essa,

E – quel che è più – sei un Uomo, figlio mio!

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BLU COBALTO_

Per un po' ho nascosto quest'anima. 
Quella falena che albergava nella notte è divenuta una farfalla libera.
Che delle sue ali dipinte, adornate dalla punta di un pennello grezzo e gremito da un colore indefinito, si ubriacava di vanità . 
Scorgersi mentre gli occhi forse troppo grandi, lucidi, provano brividi simili a quelli che la pelle si trova sempre a dover sopportare, quando s'innalza e si fa fitta nel seguire l'umore che si distacca dalla realtà, quando per il muoversi del mondo provi una fitta al cuore. 
Tutto quel frastuono risuona come a percussione tra i corridoi dell'anima. 
Un sibillino movimento di un semplice spostarsi il lembo d'una foglia caduta a terra, perché ormai priva di respiro, nel vedere poi, lo sforzo impiegato dal vento, consumato, nel vano tentativo di tirarla su; creando così la forza attorno e trasformandola in magia. 
Magia che nessuno vede. 
Magia che i passi della gente polverizza, come un illusionista, lasciando solo voci e rumori. 
In un proseguire della vita. 
A passi svelti e subito distanti.
E tu. 
Tu sei ancora con la foglia, mia bella farfalla. E stai tentando assieme al vento di farla tirar su da terra. 
E così il cuore fa un balzo. Non sibila, ma trema. 
A vedere come se ne approfitta la fantasia nell'immaginarsi vuoto, tempesta poi mare, ali nel vento a volteggiare nelle nuvole che trovano l'appiglio per portarti a terra. 
E poi ancora falò a distruggere le emozioni che devono disperdersi nell'aria per non farsi trovare. 
A lasciare che altri sogni dopo la notte si creino. 
Questi piedi impazienti al suono di una nota cominciano a muoversi, non conoscono altro modo di restare fermi . 
Nel valzer malinconico e veloce si fanno più forti, più vicini, simili a spine trafiggono la terra… a vedersi quelle punte dritte. 
Si muovono attorno e non fanno più solo della musica il loro ballo, piuttosto come se fosse la musica a lasciarsi sopraffare dal movimento. 
La musica sta seguendo la farfalla. 
E come la foglia nel vento, diventa protagonista, s'innalza l'anima e diventa sconosciuta, inafferrabile e la vedo cadere per rialzarsi.
Cadere e rialzarsi…
Per prendermi le mani e portarmi via con sé.
Nei continui giri, come in una giostra da circo, mi faccio distrarre da baci funesti, occhi imprigionati in menti ormai calcificate e ignare. 
Silenzio. 
Sento arrivare le onde del mare, che lasciano adagio su un letto di sabbia bagnato, il ricordo di un'altra opera teatrale. 
La pazza follia che mi permette di poter dire ancora: " vai via"; Non sono io . 
Mi ritrovo in cammino. 
Abisso discontinuo. 
Tacito.
Bollente, cola sulle ossa dandomi nuova pelle. 
Beh ora sarò pioggia. 
Oppure sabbia. 
Qualcosa che deve attecchire a terra e s'incontra con la stabilità seppur per un solo istante, per aver sfiorato quell'anima nomade che mi sfugge.
Mi sfugge e devo inseguirla, divento ancora più veloce e sfuggo io da lei.
Allora torno a passeggiare e sono lago calmo.  
Sono parole che scorrono su questa penna, alcune non dette, lasciate al tempo, sussurrate, su questo foglio. Come un piano forte che nelle note calde si prepara al gelo delle note che verranno, vibrante e bisognoso di una finestra cui donare la sua melodia, che è un grido, un desiderio di liberarsi, in un giorno di autunno al mare e ai gabbiani, sotto un cielo di nuvole grigie. 
Spengo. Spengo la mente. 
Ora spengo l'anima, che vuole volare. 
Vola troppo e devo riporla in una scatola come fosse una farfalla ferita, avrà pochi giorni di vita racchiusi nelle ali sottili. Colorate di blu cobalto.  
La mia farfalla vola toccando con le sue ali il vento e facendoci l'amore. Non l'amore, non il sesso, la vita! 
Così questa farfalla va protetta e riposta magari in un barattolo in vetro, per essere guardata, ma solo guardata.
Sfiorata ma non stretta dal pugno della vita, né dal mare che salato la potrebbe bruciare.
Ora vola, ma devo riporla. 
È poco il tempo.
Funesta mi acceca per non essere catturata. 
Vuole volare libera, senza curarsi della sua fragilità. 
Non ha vinto la guerra delle catene. 
E non può guardarsi in altre ali senza perdersi, non può riconoscersi nelle libellule, né farsi giudicare dalla luna.
Eppure nel suo ridicolo balzo temporale, lei s'abbandona, è viva. 
Diviene ora un fiore per assistere alle primavere, aspettando così, il divenire della sua prossima metamorfosi. 
Per un lungo periodo ho chiuso quest'anima, ma ora ha deciso di volare via e l'unico modo per poterla rivedere è chiudere gli occhi e lasciarsi emozionare.
SONIA LA LICATA.


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10 Agosto-San Lorenzo.

                                                                                    
San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto :
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini..

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano invano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereno, infinito, immortale,
oh, d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male.

Giovanni Pascoli             (31 dicembre 1855, San Mauro Pascoli 6 aprile 1912, Bologna)

Eravamo ragazzi, cadevano le stelle e le guardavamo dissolversi nel blu terso del cielo 
e c'era un desiderio in ogni bagliore....











Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, sulla quale influì la tragedia familiare. 
Il 10 agosto del 1867 gli fu ucciso il padre. 
Alla morte del padre seguirono quella della madre, della sorella maggiore, Margherita 
e dei fratelli Luigi e Giacomo. 
Questi lutti lasciarono nel suo animo un'impressione profonda e gli ispirarono il mito 
del "nido" familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente i morti, legati 
ai vivi dai fili da una misteriosa presenza. 
In una società sconvolta dalla violenza e in una condizione umana di dolore e di angoscia esistenziale 
la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano. 
Pascoli, nonostante fosse un seguace delle dottrine positivistiche, non riconobbe la potenza della scienza e 
l'accusò di aver reso più infelice l'uomo, distruggendogli la fede in Dio e nell'immortalità dell'anima. 
Pascoli fa oggetto il mondo dell'ignoto e dell'infinito, il problema dell'angoscia dell'uomo, del significato 
e del fine della vita. 
Egli però conclude che tutto il mistero nell'universo è che gli uomini sono creature fragili ed effimere, 
soggette al dolore e alla morte, vittime di un destino oscuro ed imperscrutabile. 
Pertanto esorta gli uomini a bandire, nei loro rapporti, l'egoismo, la violenza la guerra, 
ad unirsi e ad amarsi come fratelli nell'ambito della famiglia, della nazione e dell'umanità. 
Soltanto con la solidarietà e la comprensione reciproca gli uomini possono vincere il male e il 
destino di dolore che incombe su di essi. 
CAVALLINA STORNA
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla».

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia...»

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
«O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come».

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.































GIOSUE'  CARDUCCI.

Il poeta della patria e della storia
Pietrasanta 1835- Bologna 1907. 
Premio Nobel per la letteratura nel 1906

“L’amore per la patria al di sopra di tutto”, l’amore per la natura e per il bello questa è decisamente 
la filosofia a cui si ispira nelle sue opere poetiche -

Al romanticismo che andava sempre più declinando verso una tendenza piagnucolosa, egli oppose 
la sua poetica ispirata al culto della tradizione classica, il classicismo era quindi un sinonimo di
culto della bellezza e della forma.
Nella maggior parte delle Odi Barbare, Carducci si ispira ai modi e alle forme della tradizione classica. 
La vita, con i suoi valori di amore, bellezza ed eroismo sono la principale fonte di ispirazione del poeta. 
Non meno importante, l'amore per il paesaggio per lo splendore del sole, le aperte distese della 
pianura, delle notte lunari e il silenzio delle Alpi.
Le poesie sono alcune tra le composizioni più appassionate delle Rime Nuove:liriche autobiografiche, nostalgiche rievocazioni del passato, un malinconico raccoglimento interiore. 
Carducci, nel pensiero storico non manca di dire che le colpe dei tiranni sono scontate dai 
discendenti posteri. In questo senso segue un po’ la filosofia manzoniana. 
Al poeta non  manca però anche un evidente legame con la cultura del positivismo: 
Fiducia nella ragione, nella scienza e nel progresso.


In morte del figlioletto.

L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior,
Nel muto orto solingo
Rinverdí tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor










Alessandro Manzoni 
Milano marzo 1785-1873 
E' stato uno scrittore poeta e drammaturgo italiano.
È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi per il suo celebre romanzo I
PROMESSI SPOSI  caposaldo della letteratura italiana.
Nel 1860 fu nominato senatore del Regno.
A differenza di altri artisti romantici, Manzoni condusse una vita appartata 
priva di azioni o dichiarazioni spettacolari. 
La sua fama, già grande tra i contemporanei, è legata soprattutto alle sue opere 
che segnano una tappa fondamentale per il Romanticismo italiano. 
Manzoni espresse alti sentimenti patriottici e religiosi diventando un ispiratore 
del risorgimento nazionale ma sempre cercando di mantenere un riferimento costante alla realtà.
Con I promessi sposi ha posto le basi per l'italiano moderno e ha offerto il modello per scrivere 
il romanzo, una forma di narrativa fino ad allora sconosciuta nella letteratura italiana.

5 MAGGIO 1821

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita 
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale 
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua, 
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio, 
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.

Dall'Alpi alle Piramidi, 
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar. 






                                                       GIACOMO LEOPARDI. Il poeta pessimista.

Recanati giugno 1798-Napoli giugno 1837

IL PENSIERO - Al centro del pensiero di Leopardi c'è l'infelicità dell'uomo, 
che è causata dalla aspirazione al piacere infinito, impossibile da raggiungere.Al centro della meditazione di Leopardi si pone l’infelicità dell’uomo. 
L’uomo aspira a un piacere infinito, ma dato che nessuno dei piaceri particolari goduti dall’uomo 
può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua.
Da questa piaceri inappagati nasce l’infelicità dell’uomo, il senso della nullità di tutte le cose. 
L’uomo è dunque necessariamente infelice. 
La natura è concepita da Leopardi come madre benigna, ha voluto sin dalle origini offrire un 
rimedio all’uomo: l’immaginazione e le illusioni. 
Per questo gli uomini primitivi e gli antichi Greci e Romani, più vicini alla natura, erano felici. 
Il progresso ha allontanato l'uomo da quella condizione di felicità
 Lo Zibaldone è la chiave per comprendere come al centro dell'opera di Leopardi appaia costante 
la tematica del dolore esistenziale, sfociante nella sua visione pessimistica della vita.

Dopo la delusione subita nel suo primo contatto con la realtà esterna alla “prigione” di Recanati. 
Nascono le Operette morali, prose di argomento filosofico attraverso una serie di invenzioni 
fantastiche, miti, allegorie e paradossi. Anche le invenzioni si concentrano intorno ai temi 
fondamentali del pessimismo: l’infelicità dell’uomo, l’impossibilità del piacere, la noia, il dolore, 
i mali materiali che affliggono l’umanità. 

IL sabato del villaggio
La donzelletta vien dalla campagna
in su calar del sole recando con se
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.....
                                                                          A Silvia.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi? 
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.....










UGO FOSCOLO. Zante febbraio 1778-Londra 1827

Per Foscolo l'importanza dell'uomo consiste nelle passioni, queste, infatti, esaltano l'individuo: 
perciò l'amore, la bellezza, la gloria, la patria, la libertà, la giustizia, sono per lui sempre delle 
esperienze meravigliose. Perduta la fede cristiana Foscolo aderisce alle dottrine sensistiche e 
materialistiche: ritiene valide e sicure solo le conoscenze che gli derivano dai sensi e dalla 
ragione. Crede solamente che sia reale ciò che viene percepito dai sensi.
L'universo è un ciclo perenne di nascita, di morte e di trasformazione da parte di forze irrazionali.
Perciò, Dio, l'anima,la provvidenza sono esclusi da questa concezione:Dopo la vita, subentra “il nulla eterno”. 
Foscolo sente una sete di ideali grandiosi, di verità, giustizia, bellezza, libertà, amore, patria.
Essi solo gli appaiono capaci di dare un significato all'esistenza. 
La ragione gli dice però che sono illusioni, ma il cuore non si rassegna a considerarli come tali.  
Nasce il culto dei valori spirituali sempre contraddetti dalla realtà ,ma continuamente 
risorgenti nell'uomo: Poesia come espressione di questi valori di umanità e civiltà: 
La poesia li fa vivere nel mondo e li sottrae alla rovina del tempo, al nulla della morte, 
rendendo eterni nei secoli gli spiriti grandiosi di eroi e poeti, che li hanno affermati. 

ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS È un romanzo composto da lettere che Foscolo immagina scritte 
da un giovane suicida, Jacopo Ortis, ad un suo amico. J
Jacopo si rifugia sui colli Euganei, dopo che Napoleone, che lui cantava come l'eroe liberatore di Venezia
si mutò in traditore vendendo col trattato di Campoformio Venezia all'Austria. 
Qui conosce Teresa e se ne innamora ricambiato. Ma il padre della ragazza l'ha già destinata in sposa 
al ricco Odoardo. 
Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente che per lui la vita non ha più senso. 
Va a Venezia per riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a 
Teresa e l'ultima all'amico, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore. 


Alla sera.

orse perché della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,

E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all'universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

I sepolcri.
Con l'editto di Saint Cloud Napoleone proibiva la differenza tra morti comuni e morti illustri 
e i cimiteri posti lontani dalla città, con tombe tutte uguali. 
Foscolo prende spunto dall'editto per scrivere "i sepolcri",vuole dimostrare che le tombe inutili 
ai morti sono utili ai vivi, perché fanno nascere in chi le visita sentimenti buoni se appartengono 
a persone oneste. 
I motivi principali del carme sono: il sentimento romantico della morte e quello delle illusioni 
che ci permettono di sopravvivere. 
I Sepolcri, secondo il Foscolo, servono a rinforzare l'affetto familiare, a farci ricordare il passato 
glorioso della Patria e quindi spingere i giovani a grandi gesta, ed infine servono ad ispirare la poesia. 
La natura è vista come una forza che trasforma continuamente la materia e per questo Foscolo  
abbraccia il materialismo del settecento. In quest'opera la morte e la vita sono sempre presenti 
e benché si parli di morte c'è anche un incitamento alla vita eroica. 
I Sepolcri si possono considerare un'opera romantica e classica per la mitologia che presenta 
e soprattutto per l'armonia che c'è fra la vita e la morte.


Niccolò Machiavelli 
Firenze 1469-!527



















La deformazione del pensiero di Machiavelli, sinonimo di opportunismo politico, si diffuse in europa 
e finì per indicare comportamenti subdoli per il proprio vantaggio anche usando astuzia e slealtà e 
senza ritegno morale. "
"ll fine giustifica i mezzi", frase attribuita al Machiavelli, ma da lui mai pronunciata.

Machiavellismo e un termine della letteratura politica nato da un’alterata interpretazione della 
dottrina politica del Machiavelli in base al quale il governante  si serve di ogni espediente 
anche il più subdolo pur di raggiungere il proprio fine.

A partire dal secolo XIX si fece strada invece una completa rivalutazione della politica del Machiavelli 
una  maggiore consapevolezza del suo realismo rifiutando il pensiero del secolo XVII:
"L’antimachiavellismo", che vedeva nel suo pensiero una politica anti-ecclesiastica, atea e priva di 
scrupoli che avrebbe dato dignità ad un regime tirannico.

Nella sua opera "Il Principe" si trova invece il pensiero dello scrittore nella sua forma più matura e 
veritiera, tenendo conto del contesto storico un cui è stato scritto. 
In un Italia frammentata in stati e staterelli in lotta fra loro e chiunque avesse tentato una azione 
di unificazione si sarebbe trovato a dover fronteggiare l’opposizione dura della chiesa.
In queste condizioni il fine di riunire un popolo in un solo Stato va considerato primario e i tutti i mezzi 
usati diventano secondari. 
Il suo pensiero si identifica con il repubblicanesimo ed è quindi espressione di libertà. 
Nel descrivere la politica del "Principe" Machiavelli voleva rivelare ai popoli come debbano diffidare 
dal consegnare il potere politico ad un solo uomo.

In principio, l'azione energica di un solo capo che getti le fondamenta di uno Stato è assolutamente 
necessaria.
Poi nella fase successiva lo stato si conserverà con la forza della leggi e la sovranità del popolo.
Per lui l’Italia aveva la necessita, sull’esempio delle grandi monarchie Europee, di diventare uno 
stato unitario 
Con Machiavelli nasce il pensiero politico moderno fondato sulla distinzione netta fra politica e morale
Tuttavia ancor oggi i tratti distorti del suo pensiero sono rimasti e vengono ancora usati.

Ancora oggi machiavellico e colui inteso a raggiungere un determinato fine con qualunque mezzo 
anche il più riprovevole e il più subdolo.

















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