RICORDI DEL COLLEGGIO PIOXI.


L'Opera Salesiana Pio XI, iniziata nel 1928 e ultimata nelle sue strutture principali nel 1936, fu intitolata al Pontefice della beatificazione e canonizzazione di don Bosco, il quale amava tanto il santo sacerdote di Torino 
L'attività scolastica ha avuto inizio nel 1930-31, con oltre duecento allievi dell'Avviamento Professionale e della Scuola Tecnica.
In quel tempo Iniziava ad operare anche la grande Basilica Parrocchiale di Santa Maria Ausiliatrice 
al Tuscolano con l'annesso Oratorio, strutture ancora oggi di grande significato nel territorio.
Nel corso degli anni si aggiunse anche la Scuola Media. 
Il triste periodo della II guerra mondiale, vide ridursi in modo consistente la presenza degli allievi, ma il Pio XI aprì le porte a quanti erano bisognosi soprattutto ragazzi
Accolse orfani civili e di guerra, nascose sotto false identità 70 giovani e ragazzi ebrei per sottrarli alla persecuzione nazista e che non avevano risorse per mangiare, vestirsi, studiare 
Nel 1956, quando i Carri armati Russi invasero Budapest, accolse in collegio molti ragazzi profughi ungheresi che poterono studiare a spese dello stato.
Negli anni '60 e '70 nacque il Centro di Formazione Professionale, dotato dei settori grafico e meccanico che rende ancor oggi un valido servizio a ragazzi e giovani nel territorio. 
All'inizio degli anni '90 si aggiunse anche il Ginnasio-Liceo, trasferito dalla storica Opera del Sacro Cuore a via Marsala .

E.N.A.O.L.I. Ente Nazionale per Assistenza agli Orfani dei Lavoratori Italiani, Cominciò ad operare appieno nel 1948. Assisteva fino al compimento del diciottesimo anno di età gli orfani di padre e di madre, purché fossero soggetti alle assicurazioni sociali obbligatorie.
Io ero uno di questi orfani.

Da ragazzino amavo stare all’aria aperta, correre per i prati in un epoca in cui tutto era più semplice e familiare, giocare in Via di vigna fabbri insieme a tanti altri scugnizzi.
Mio padre era morto, io ero diventato un orfano dell’ENAOLI e avevo diritto alla sua assistenza.
Ho frequentato le scuole elementari presso la scuola Giovanni Cagliero (Arcivescovo cattolico) aiutato dall’Ente che acquistava libri e quaderni per chi ne aveva bisogno, per i più poveri c’era 
anche la refezione 
Andavamo tutti in fila, vestiti con il grembiulino blu e il fiocco bianco al colletto, verso il refettorio della scuola per consumare il pranzo che consisteva in una ciotola di minestra, formaggino, pane e una mela. Alle maestre che assistevano i bambini facevo particolarmente tenerezza.
Alcune mi sfioravano con una carezza e dicevano: “povero bambino orfano di padre”. 
Gli altri ragazzini mi guardavano con tristezza e sussurravano fra di loro: “Suo padre è morto da poco”.
Tutto questo mi creava un enorme disagio che non riuscivo a nascondere e spesso gli occhi mi luccicavano.

Ricordo con nostalgia la maestra che ci seguì fino in terza elementare, aveva già ciocche di capelli bianchi, ma il suo sguardo era dolcissimo.
Il figlio aveva contratto la poliomielite e frequentava la nostra classe. 
Lei gli dedicava tante attenzioni, ma lo faceva anche con tutti noi, nonostante spesso la facessimo inquietare, ma mai che mi ricordi una dura punizione.
Avevo fatto amicizia con il mio compagno di banco: si chiamava Volpi e il ragazzino lo era di nome e di fatto, tanto intrigante quanto simpatico.
Molte volte insieme abbiamo marinato la scuola per andare a fare il bagno nel fiume Almone che noi chiamavamo marrana.
Finita la scuola non ho più saputo nulla di lui, ma mi è rimasto un buon ricordo di questo mio amichetto delle elementari. 
Ricordo con affetto anche altri compagni: Vellucci, sempre il primo della classe- Veneri- Bucci- Simeone- Alessandrelli..e tanti altri ancora.. Chissà cosa ne sarà stato di loro!

In quarta classe arrivò il  maestro De Angelis: Austero ma di buon cuore. 
Il primo giorno entrò in classe e tutti noi ci alzammo in piedi a salutarlo: 
“Buon giorno sig. Maestro”. Indossava una giacca grigia che portò per quasi tutto l’anno scolastico.
“Buon giorno ragazzi”, rispose e sedette in cattedra: ”Dobbiamo trascorrere un anno insieme, quindi 
studiate e siate buoni poiché voi rappresentate la mia seconda famiglia.
Ci insegnò a scrivere bene in italiano e a capire l’aritmetica, per farci apprendere meglio ci coinvolgeva nelle principali operazioni matematiche: chi imparava prima la divisione a due cifre poteva insegnarla ad altri.
Il maestro De Angelis ci portò fino agli esami di quinta classe e promosse tutti.

Finita la scuola primaria avrei dovuto iniziare le scuole medie, ma queste erano a quel tempo riservate ad una classe più agiata. Si dovevano sostenere gli esami di stato, studiare il latino, il greco e i libri di testo costavano molto, specialmente i vocabolari.
Fu così che un giorno mia madre mi abbracciò e mi disse con dolcezza: 
“Franco tu conosci le nostre condizioni familiari, io ho una misera pensione, tuo fratello maggiore ha dovuto abbandonare gli studi e andare a lavorare e ci aiuta molto con i pochi soldi che guadagna; inoltre io devo badare anche al tuo fratellino piccolo; capisco che ti piace vivere e giocare sui prati e all’aria aperta, però mamma ti chiede di fare un sacrificio, che poi un sacrificio non è, poiché entrerai a far parte di uno dei più prestigiosi collegi dei salesiani di Don Bosco dove inizierai l’Avviamento Professionale e avrai tutto il necessario per studiare ed anche per vestirti, tutto questo grazie all’opera dell’ENAOLI. In fondo poi il collegio PioXI non è così distante da noi"-
Restai per un po’ ammutolito, poi le lacrime ebbero la meglio. 
Mamma mi strinse a se confortandomi e fu in quel momento che sentii forte il suo affetto.

Nel suo girovagare per fare le punture, a mamma regalarono una bellissima copertina di lana rasata marrone, la portò al sarto che aveva la bottega nel palazzo di fronte a noi e mi ci fece fare un bel completino con giacca e pantaloni alla zuava. Mio fratello invece mi regalò un paio di bellissime scarpe di pelle e cuoio marroni.
Riempita la valigetta con tutto il necessario, scritto nella lista che ci aveva consegnato il direttore, arrivò il giorno di presentarsi nella prestigiosa scuola.
Mi accolse sorridente il prete Consigliere che iniziò a parlarmi della vita del collegio, io ero spaesato ed esitante, il consigliere vedendomi così perplesso mi fece fare il giro del grande complesso scolastico. Abbiamo visitato le aule, i corridoi, le camerate, il refettorio, i laboratori e soprattutto il grande cortile dove si svolgevano i mille giochi. 
Il consigliere disse “So che sei orfano di padre e che ti assiste l’ENAOLI, devi sapere però che i privati pagano una consistente somma per mantenere i loro ragazzi qui al PioXI” 

La mia esperienza in collegio è stata sicuramente positiva. 
Ho vissuto in questo luogo 5 anni della scuola professionale. 
Ho imparato ad essere autosufficiente, ad impostare il mio studio, in cui riuscivo benissimo, senza rinunciare al divertimento sano di quest’età.
Il collegio continua ad essere un punto fermo della mia vita.

Nel grande salone del cinema, insieme ai parenti dei ragazzi, si festeggiava l'inizio dell'anno scolastico affinché questo fosse prolifico, tranquillo e sereno.
Un Vescovo benediva le aule, le camerate, i laboratori, le famiglie.
Inoltre venivano premiati con un diploma i ragazzi che nell'anno precedente si erano distinti per
la condotta, per il profitto e nel laboratorio.
Il primo anno fui premiato anch'io davanti ad una platea di genitori ma soprattutto davanti a mia sorella e mia madre.
Dopo la cerimonia parenti e ragazzi tutti a cena offerta dal Direttore e successivamente la proiezione di un bellissimo film: ricordo il titolo: "Ventimila leghe sotto i mari" tratto dal romanzo di Giulio Verne.
Mia sorella era giovanissima e bella e i ragazzi più grandi si spintonavano pur di riuscire a sedersi
vicino a lei, tentare di parlarle, presentarsi goffamente, mia sorella rispondeva educatamente a tutti.
Il giorno dopo tanti ragazzi a farmi i complimenti per la mia bella sorella.

La vita in collegio era spartana: Alle 6,30 la sveglia, mezz’ora per le pulizie, poi tutti in fila per andare alla messa alla quale seguivano la colazione  e le prime due ore di scuola.
Poi un’oretta di svago in cortile prima di recarsi nei laboratori professionali: 
Meccanici- falegnami- tipografi- legatori- sarti e perfino calzolai.
Iniziai nel laboratorio della falegnameria, il maestro mi mise in mano una raspa ed un trinchetto di legno, mi fece vedere come dovevo fare ed iniziai il lavoro. Raspando fortemente dal legno scaturiva tanta polvere che respiravo e che mi cadeva sulle mie belle scarpe nuove.
Il mestiere del falegname non era fatto per me. Pregai il consigliere di farmi cambiare laboratorio. Lui rispose: "Se vuoi essere sempre pulito allora devi fare il Sarto”. Iniziò per me una nuova affascinante esperienza, nei 5 anni di collegio imparai a cucire pantaloni, giacche, cappotti..

All’una in punto suonava la campanella e uscivamo tutti in fila per andare a pranzo nel grande refettorio, i tavoli erano lunghi sistemati su quattro file e potevano contenere fino a sedici posti.
I pasti erano preparati dalle suore dell’attiguo convento: minestra, pastasciutta, polpette, carne al sugo, formaggini e frutta. Non potevamo lamentarci. 
Chi si offriva volontario per servire i piatti in tavola aveva diritto a doppia razione del pranzo 
e lo stesso valeva per la cena. Con molto piacere spesso mi sono offerto anch'io.
Gli ultimi dieci minuti del pranzo erano dedicati alla lettura di un libro o un romanzo d'avventure, 
l'assistente diacono sceglieva il ragazzo che aveva una bella voce e che sapesse leggere bene.
Gli studenti più "grandi" della scuola tecnica pranzavano in un’altra sala attigua al refettorio. 
Avevano tavoli da quattro persone e veniva concesso loro anche mezzo litro di vino da dividere. 
Quando iniziai la scuola tecnica anch’io mi sentii “grande”.

Alle suore era demandato anche il compito di lavare la biancheria che restituivano pulita e profumata una volta alla settimana, inoltre dovevano cambiare e lavare le nostre lenzuola sempre una volta a settimana.
Io preferivo dare la biancheria da lavare a mia madre quando veniva a trovarmi la domenica pomeriggio.

Dopo mangiato avevamo disposizione un’ora di ricreazione per i nostri divertimenti: 
partite di pallone, pattinaggio, pallacanestro....
Trascorsa l'ora, il Consigliere metteva in bocca il suo inseparabile fischietto e ci richiamava 
all’ordine per tornare nel grande “studio” dove svolgevamo i nostri compiti.
Qualcuno pur stando sui libri si distraeva e l’assistente diacono era costretto ad una tiratina d’orecchie, a qualcun altro nei casi più gravi veniva sospesa la ricreazione o fatto stare in piedi fermo davanti all’orologio del cortile esposto ai lazzi dei compagni.

Alle cinque si consumava la merenda, avevamo diritto ad una rosetta di pane con formaggino 
e ad una mela. 
Dopo la ricreazione altre due ore di scuola, quindi seguiva un'altra ora di studio durante la quale 
era permesso leggere giornalini e libri per ragazzi; mi ricordo di averne letto uno bellissimo: 
Michele Strogoff-il corriere dello Zar- di Giulio Verne.
Alle otto in punto la cena, poi mezz’ora di passeggio nel grande cortile e alle 9,30 tutti in camerata 
a dormire, senza aver prima recitato le preghiere.

In quell'ora di studio, prima della cena, chi voleva poteva iscriversi alla scuola di musica.
In tanti aderirono con furbizia pur di non stare chiusi in studio.
Io preferii restare a leggere libri e giornalini, ma in futuro me ne pentirò amaramente.
Infatti alla furbizia subentrò la serietà, poiché dopo un anno di scuola quei ragazzi
erano diventati dei veri e propri musicisti.
Ognuno aveva imparato a suonare uno strumento diverso e avevano formato una
affiatata Banda musicale.
In occasione della ricorrenza della santa Maria Ausiliatrice, si svolgeva (ancor oggi) la processione lungo il quartiere Appio-Tuscolano ed era proprio la Banda dei ragazzi del PioXI che 
guidava la Processione.
Non mi sono mai perdonato di non essermi iscritto alla scuola di musica e ancora oggi lo rimpiango fortemente.
Un gruppo di ragazzi scelto dal consigliere si preparava per la processione, alcuni si vestivano da chierichetti incaricati di portare i ceri, un ragazzo vestito da "Turiferaio" (un piccolo prete) portava il "turibolo", il vaso di metallo dove veniva bruciato l'incenso, che faceva oscillare da destra a sinistra 
e dal quale usciva del fumo dall'odore acre e penetrante. 
Altri ragazzi vestiti da Paggetti avrebbero portato il gagliardetto della madonna: io ero tra questi.
Sfilammo per le vie del quartiere ed io mi sentivo molto orgoglioso, poiché tutti ci guardavano e 
ci battevano le mani.
Il giorno dopo si festeggiava la Madonna anche all'interno del collegio, nel grande cortile insieme 
a genitori e parenti.
Io mi avviai verso lo spogliatoio, come il giorno precedente, per indossare il vestito da Paggetto.
Il consigliere era lì ad aspettarci con alcuni ragazzi, disse a me e a due compagni di non vestirci, dovevamo lasciare il posto anche ad altri allievi. Lo pregai di lasciarmi vestire, poiché avevo avvertito mia madre della festa e sarebbe venuta a vedermi insieme a mio fratello e mia sorella. 
Le preghiere rimasero inascoltate!
E’ stato un duro colpo per me e cominciai ad avere i primi dubbi sulla indulgenza e il buon cuore dei preti

Le camerate erano molto grandi e potevano contenere 50 ragazzi, ognuno con il suo letto e l’armadietto personale. 
Gli assistenti Diaconi avevano un loro spazio separato da paraventi, erano loro che davano la buona notte, spegnevano le luci e al mattino suonavano  la sveglia
Il sabato si studiava solo la mattina. Facevamo la doccia e nel pomeriggio a passeggio per la città divisi per classi e guidati dal proprio Diacono.
La mia casa non distava molto dal collegio e spesso ci passavamo davanti. 
Molte volte abbiamo incontrato i miei amici di Via vigna Fabbri e salutato mia madre e mia sorella alla finestra.

Il sabato era anche aperta la dispensa per rifornire i ragazzi di quaderni, penne, matite, saponette, dentifricio, che il magazziniere annotava scrupolosamente sul registro dei costi, naturalmente 
a me ed altri ragazzi come me, avrebbe “pensato” l’ENAOLI. 
Grazie a  questo Ente avevamo anche diritto a due vestiti completi, confezionati proprio nel nostro laboratorio di sartoria e a due paia di scarpe l’anno.

La disciplina era ferrea, ci si spostava sempre tutti in fila. C’era un grande  rispetto per gli insegnanti, l’obbedienza, il silenzio assoluto in classe nonostante si fosse 20-25 per aula.
In collegio si diventa grandi in fretta, senti la mancanza dell’affetto della famiglia con la quale  
il ragazzo forma il proprio carattere e raggiunge un equilibrio che gli servirà per il resto della vita. 
Ma con il tempo che passa scompare anche la nostalgia di casa e il collegio diventa parte di te stesso.
Il vivere insieme dalla mattina alla sera, svegliarsi, studiare, lavorare, pranzare e cenare sono momenti che condividi con tutta la comunità che diventa sempre più la tua seconda famiglia. 

Le figure più significative erano il Direttore Don Verdecchia, ancora molto giovane, ma autorevole, austero e sapeva incutere soggezione
Il Consigliere: un prete di un metro novanta, duro, inflessibile, dirigeva tutte le operazioni riguardanti la scuola, il laboratorio il refettorio e inoltre insegnava il francese. 
Don Perinella docente di lettere, preparatissimo impeccabile, severo e solenne.
Don Gillone un omone sempre sorridente e scherzoso. 
Don Genovese professore di matematica, aveva la mania dei compiti in classe, li correggeva, metteva il voto e li ridava indietro ai ragazzi, quindi iniziava l’appello in ordine alfabetico e faceva ripetere ad ognuno il voto a voce alta.  L’alunno Astolfi, di Viterbo, non riusciva proprio ad imparare la matematica e ad ogni appello rispondeva sempre -“due”- aveva già ripetuto l’anno e i suoi genitori erano disperati, spendevano un patrimonio per mantenerlo in collegio. 
L’appello seguitava: alcuni rispondevano -“quattro”- altri -“sei”- "cinque"-… Io me la cavavo bene in matematica e durante i compiti in classe qualcuno sussurrava: “Paccoj mi passi il compito?”. 
Qualche volta riuscivo a lanciare il foglietto, ma talvolta il prete ci “beccava” ed era brutto voto anche per me.
Don Cao, un piccolo diacono proveniente dalla Sardegna, aveva sempre un taccuino in mano pronto a scriverci che si comportava male, punire era il suo credo
Il sig Montani, capo del laboratorio di sartoria e bravissimo artigiano, il sig Bottazzo suo vice,
un omone con le gote arrossate dal vino che beveva, tuttavia insegnava molto bene l'ABC del bravo
sarto ai principianti e non mancava di mollare qualche ceffone.

Fra i collaboratori che si chiamavano "famigli" ricordo il giardiniere -Domenico- un omino piccolo e grasso, gambe storte, ma instancabile, spazzava in continuazione il cortile e curava con amore gli alberi e le piante. Puliva anche i bagni che erano costruiti alla "turca"e si sporcavano facilmente.
Il Portinaio sempre allerta all’entrata di via Umbertide che ogni tanto fermava qualche ragazzino velleitario che voleva uscire.
Il maestro dei meccanici -Mancini, quello dei tipografi-legatori -Tatti, quello dei sarti- Bottazzo che voleva ostinatamente che imparassimo alla perfezione il mestiere.
Il sig Frattali l’infermiere anziano ed esperto, che accoglieva sempre con sospetto chi diceva di essere malato. 
L’infermeria era molto grande, con l’androne di prima accoglienza dove era sistemato un grande tavolo con lastra di marmo e una capiente camerata per i malati. 
Noi ci infilavamo sotto il tavolo e scrivevamo i nostri nomi nella parete interna della lastra.
Dopo molti anni sono tornato a visitare il collegio, sono salito su nell'infermeria e ho guardato sotto il tavolo: c'era ancora scritto il mio nome e di tanti altri. E' stata una emozione indescrivibile.

I ragazzi che talvolta non avevano voglia di andare a scuola, dicevano agli assistenti di sentirsi poco bene e chiedevano di poter andare in infermeria.  
Il sig Frattali metteva loro il termometro sotto l’ascella per misurare la temperatura e scopriva che non avevano proprio nulla e li rimandava in classe. 
I più furbi, nel momento in cui l’infermiere si distraeva, strofinavano il termometro sulla giacchetta di lana per far salire la “febbre”, ma il più delle volte il trucchetto veniva smascherato dall'abile infermiere.

Nel tardo pomeriggio del sabato, il Consigliere riuniva tutti nel salone del grande “studio” per metterci al corrente sullo stato del bilancio della settimana trascorsa. 
Attraverso il rapportino degli insegnanti e assistenti, leggeva i voti in base al comportamento 
di ognuno di noi, sia in aula che in laboratorio, al refettorio o a ricreazione e perfino in chiesa.
9 e mezzo il voto peggiore—10 meno, meno—10 meno—fino all’ottimo 10, seguiti dalla immancabile romanzina e lavata di capo 
Al malcapitato che gli toccava 9 e mezzo saltava il cinema della domenica pomeriggio. 

E’ successo anche a me per una volta prendere 9 e mezzo e saltare un film che desideravo tanto vedere- “Senza Famiglia”.
Avevo letto il libro di Ettore Malot ed ero rimasto colpito dalla storia del bambino abbandonato in un viale di Parigi e affidato ad un artista di strada che girava la Francia con una compagnia di piccoli animali; la favola sarà a lieto fine: Remì ritroverà la sua vera mamma. 
Volevo tanto vedere quel film, pregai il consigliere di perdonarmi e magari farmi saltare il film della  domenica successiva, ma il Prete fu irremovibile, sono stato costretto ad andare in studio durante la proiezione del film, insieme ad altri “cattivi".
Il dubbio sulla indulgenza dei preti e il loro buon cuore cresceva sempre di più forte dentro di me.

La domenica mattina indossavamo il vestito della festa e avevamo a disposizione due ore di ricreazione. Era aperto anche il piccolo spaccio che vendeva dolci, caramelle, riquilizia e giornalini.
Il consigliere incaricava anche un ragazzo di prendere una apposita cassetta di legno con una cinta fissata ai lati e contenente le stesse bontà, mettersela a tracolla e girare fra i ragazzi in cortile a vendere queste leccornie: due lire per una caramella, cinque lire di pescetti di liquirizia, dieci lire per i cioccolatini...che felicità!! che nostalgia!!
Il pranzo della domenica era speciale: pasta asciutta: pollo al forno con patate e alla fine anche il dolce.
Nel pomeriggio dopo la proiezione del film iniziava il parlatorio con i parenti che venivano a trovare i ragazzi. Mamma era sempre lì ad aspettarmi con la biancheria pulita, con dei biscotti e della frutta. 
Mi chiedeva “come stai?” ed io la rassicuravo “benissimo, mi trovo benissimo qui in collegio".
Mi raccontava della nostra famiglia, delle difficoltà quotidiane della vita e delle tante preoccupazioni. Alla fine mi salutava con un bacio e la sua lacrima bagnava la mia guancia. L'ultima parola era: "mangia mi raccomando!"
Quanti sacrifici povera mamma!

Anche mio fratello Sergio veniva a trovarmi spesso, dopo la morte di papà era diventato il capo famiglia, ha dovuto abbandonare gli studi e sperava tanto che almeno io potessi arrivare al diploma. Mi portava dei biscotti, dei cioccolatini e dei giornalini, per il mio compleanno mi aveva promesso dei pattini a rotelle che desideravo tanto.  La domenica mio fratello non venne, restai malissimo.
Arrivò invece il pomeriggio del giorno dopo, chiese il permesso per vedermi e mi attese in parlatorio. Quando lo raggiunsi mi colse una punta di delusione: i pattini non li aveva. Un impegno di lavoro
lo aveva distolto dal comprarli, mi promise che me li avrebbe portati la domenica successiva.
Sentii salirmi un leggero sconforto e non riuscii a celare alcune lacrime.
I miei compagni mi attendevano curiosi di vedere i nuovi pattini.
Il gesto che fece mio fratello non lo dimenticherò mai e gliene sarò grado per tutta la vita.
Uscì, andò in fretta nel negozio di giocattoli non lontano e tornò con un paio di bellissimi
pattini: semplici e per principianti, ma con i quali imparai a pattinare benissimo e ai quali
rimasi affezionato a lungo prima di comprarmene un paio più professionale.
In quel momento non avrei desiderato niente di meglio

A me piaceva leggere un giornalino, che era permesso possedere, che raccontava le storie di capitan Walter, un pilota americano che indossava sempre un giubbotto di pelle di montone imbottito con vera lana di pecora.
Ero innamorato di quel giubbotto e desideravo tanto averlo anch'io.
Credo che mio fratello avesse intuito il mio desiderio e una domenica d'inverno arrivò con un meraviglioso "pilot" marrone, uguale a quello di capitan Walter.
Trovare le parole per descrivere la mia gioia mi è ancora oggi difficile.
I miei compagni mi guardavano meravigliati e molti di loro chiesero ai propri genitori
di comprargli il "pilot". Molti però erano soltanto delle imitazioni

Ogni anno a primavera si svolgevano gli "Esercizi Spirituali", da un'opera dello spagnolo  
Sant'Ignazio di Loyola nel 1600. Avevano il significato di una forma di esame di coscienza, 
di meditazione sul peccato, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale
e di altre funzioni spirituali per preparare la salvezza dell'anima.
Duravano tre giorni ed ogni attività era sospesa: si andava in chiesa a pregare diverse volte al
giorno, in studio solo silenzio, meditazione e lettura del vangelo, in cortile camminare in silenzio e in piccoli gruppi, alla mensa niente carne e ascoltare letture ecclesiastiche.
Di tutto ciò non è rimasto nulla dentro di me.

Ciò che invece non dimenticherò mai sono le "Gite annuali".
Credo che i ragazzi del PioXI siano stati i primi, in quell'epoca, a visitare la città di Lugano
in Svizzera.
Un pullman ci portò alla stazione termini, il consigliere aveva prenotato due o tre vagoni
tutti per il collegio, ci divise per classi le quali dovevano occupare gli scompartimenti.
Viaggiammo per tutta la notte e dopo una iniziale enorme eccitazione il sonno ebbe la meglio.
Ci sistemammo alla bene e meglio sui sedili, chi addirittura nel porta bagagli in alto, tuttavia riuscimmo a dormire fino al mattino quando arrivammo a Milano.
Ci dirigemmo verso  un altro collegio dei salesiani che ci ospitò per fare pulizie e
colazione. Più tardi un pullman ci condusse verso la svizzera.
I Diaconi che ci accompagnavano ammonirono: "non perdete l'occasione di esercitare il francese che state studiando e dimostrate di essere degli educati ragazzi italiani".
Attraversammo la frontiera senza problemi, la strada verso Lugano costeggiava il grande lago omonimo, un panorama mozzafiato che non avevamo mai visto.
Arrivammo al centro della città e rimanemmo a bocca aperta nel vedere ordine, pulizia e organizzazione.  Le vetrine dei negozi piene di cioccolata e dolci, altre dove scintillavano orologi e bracciali d'oro; negozi per fumatori che vendevano tutti i tipi di sigarette per niente care (non mancai di comprarne un pacchetto per mio fratello.)
I più grandi che già fumavano, gonfiavano il petto, si passavano il pettine nei capelli e si rivolgevano alla bella commessa parlando un improbabile francese, lei rispondeva "parlate italiano che è meglio se non lo sapete qui siamo nel Canton Ticino", e giù risate.
Pranzammo al sacco, passeggiammo molto per la città, costeggiammo quasi tutta la riva del lago sempre più entusiasti e meravigliati di tanta bellezza.
La sera il pullman ci riportò alla stazione di Milano, salimmo sui vagoni prenotati e ci sistemammo come all'andata nei scompartimenti. Stanchissimi riuscimmo a dormire fino al mattino.
Rientrati in collegio il consigliere ci concesse un giorno di riposo e per tutto il tempo non facemmo altro che parlare della gita in Svizzera.

In seguito il consigliere organizzò tantissime altre gite: ricordo quella al Santuario della Madonna
di Loreto. La Basilica di Loreto rappresenta oggi uno dei più importanti monumenti gotico-rinascimentali d'Italia, è il primo Santuario di portata internazionale dedicato alla vergine Maria. Secondo la tradizione conserva infatti la casa di Nazaret della madonna:
Alcuni Angeli prelevarono la Santa Casa di Nazaret, dove la Madonna avrebbe ricevuto l'annuncio della nascita di Gesù e la portarono via in volo per posarla nei pressi di Porto Recanati, lì c'era un boschetto 
di proprietà di una nobildonna di Recanati dal nome Loreta, per cui i pellegrini dicevano: "Andiamo a visitare la Madonna di Loreta". 
Da tale espressione popolare venne poi dato il nome alla cittadina di Loreto, dove oggi sorge il grande Santuario in piazza della Madonna, costruito per volontà del Vescovo di Recanati nel 1468 e nel 1587
l'edificio poté ritenersi finalmente concluso.

Visitammo anche SALERNO, NAPOLI, ISCHIA, PROCIDA...

Il consigliere ci aveva molto parlato della celebre scultura in marmo del David realizzata da Michelangelo nel 1501.
Ma quando arrivammo a FIRENZE in piazza della Signoria e vederla nella realtà, restammo incantati e ammutoliti per alcuni minuti a contemplare quel capolavoro alto più di cinque metri.
Salimmo anche sul Campanile di Giotto dove potemmo ammirare anche lo stupendo panorama di Firenze

La più divertente e indimenticabile delle gite fu quella al Terminillo, la "montagna di Roma".
Fummo fortunati poiché in quei giorni aveva nevicato molto.
Arrivammo in pullman sul piazzale principale, rimanemmo affascinati dalla coltre di neve che ricopriva la montagna, i tetti delle case, le strade. Ci dirigemmo verso un piccolo pendio dove c'era altra gente che si divertiva a tirarsi le palle di neve. Iniziammo anche noi a divertirci, a rincorrerci sulla neve, a lanciarci addosso i canditi fiocchi.
Io non avevo mai visto la neve, il mio pensiero mi diceva che poteva essere come la farina, mi ci gettai a capofitto rotolandomi su e giù.
Di li a pochi minuti ero zuppo e fradicio fino alle ossa, fui costretto a tornare nel pullman a cambiarmi totalmente, per fortuna il consigliere ci aveva detto di portarci un ricambio completo.
Dopo il pranzo al sacco, tutti dentro un rifugio a scaldarci fino a sera quando ripartimmo.
Quella giornata trascorsa al Terminillo fu indimenticabile, festosa e felice.

La “novena di Natale” ( nove giorni a Natale) annunciava le prossime vacanze natalizie. 
La sera prima di cena c’era la benedizione in chiesa che serviva a purificare le anime.
Noi contavamo i giorni che mancavano sulle dita di una mano.
Il giorno della partenza, corridoi vuoti, aule chiuse, camerate con i letti coperti, il silenzio aveva preso il posto delle parole, delle risate, dei rumori. 
E' stata l’impressione che ho provato nell'abbandonare il collegio.

Dopo 5 anni ho lasciato il PioXI con le lacrime agli occhi e con la paura per il cambiamento di vita che dovevo affrontare, ma con il cuore pieno di ricordi e momenti indelebili. 
Dall'istante in cui varchi la soglia del collegio impari a convivere con le persone più diverse. 
Dopo un paio di mesi i volti ti diventano familiari, stringi amicizie e conosci i nomi di tutti. 
Senti che il luogo ormai ti appartiene e quando stai per lasciarlo, ti accorgi che tu stesso appartieni alle stanze, alle aule, ai corridoi, al refettorio, alle camerate, al cortile...
Tutto ciò che  ho vissuto in collegio mi è rimasto fortemente dentro: 
Essere giovani, crescere insieme, stringere amicizie, studiare, lavorare, imparare e non solo dai libri, sono state tra le cose più importanti della mia vita, sono diventate pezzi di me e della mia memoria.. 
Il mio desiderio oggi, è incontrare chi ha condiviso quell'esperienza con me: 
Maccarini- Terra Antonio- Somai- Spaziani- Galeotti- Astolfi...e tanti altri e sapere se veramente il collegio li ha  resi più forti. 

Io si, sono più forte. 

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