MILITARE A CUNEO.

Nel 2005 l'obbligo del servizio militare di leva fu fortunatamente e giustamente abolito.
I ragazzi spesso erano una risorsa per le famiglie contribuendo al loro sostentamento, altri ragazzi
che ancora studiavano erano costretti a chiedere il rinvio del servizio, compromettendo talvolta l'esito degli esami di maturità o di università.
Al compimento del diciottesimo anno di età ricevevi la famigerata "cartolina" che ti invitava a sottoporti a visita medica di leva (i famosi tre giorni). La visita veniva effettuata da medici militari e loro decidevano se eri idoneo al servizio: in Marina, Esercito o Aeronautica.
Io fui dichiarato idoneo e assegnato all'arma dell'Aeronautica.

Fra i tre "giorni" e la partenza trascorreva un anno-un anno e mezzo, quindi ti arrivava un'altra famigerata cartolina che ti avvisava quando dovevi partire e la destinazione:
Io fui assegnato al C.A.R. (centro addestramento reclute) della città di Cuneo per tre mesi.
Avevo sentito parlare di questa città come una delle più fredde d'Italia e dovevo presentarmi
in caserma il 16 Gennaio in pieno inverno.

Era usanza tra i nostri amici accompagnare alla stazione il partente per la "leva".
Dopo una lauta cena in trattoria e copiosi brindisi alla nuova recluta, ci avviavamo, fra scherzi, lazzi
e prese in giro, fino al treno.
L'accelerato è partito da "Termini"alle 23 in punto; ha impiegato tutta la notte per arrivare a Torino, qui abbiamo incontrato altre reclute dirette a Cuneo. Il freddo era pungente. Siamo saliti sul treno regionale che ci ha portati nella città. Durante il viaggio abbiamo potuto ammirare un suggestivo panorama: Tutt'intorno la natura era imbiancata da una candida coltre di neve.

Siamo arrivati a Cuneo quasi a mezzogiorno, scesi dal treno siamo rimasti impressionati nel vedere
la enorme fontana della piazza della stazione completamente gelata. l'acqua aveva assunto delle forme statuarie, i zampilli si erano trasformati in delle bellissime stalattiti.
Cuneo non è una grande città, si percorre in breve tempo: c'è un lungo viale che sfocia nella piazza principale e poi prosegue verso la periferia, quel giorno aveva nevicato e le strade, le automobili, gli alberi e i tetti erano tutti imbiancati.
Cuneo, in quel periodo, era una cittadina che ospitava tanti militari, c'erano diverse caserme
e la sua economia si reggeva anche grazie all'entrate provenienti dai soldati.
Intanto fra reclute avevamo fatto amicizia, siamo entrati in un bar per riscaldarci e rifocillarci.
Accanto a noi sedeva un sergente di carriera che ci consigliò di non presentarci subito in caserma-"visitate con calma la città, pranzate in una delle tante trattorie dedicate proprio ai militari e attendete la sera per presentarvi al caporale di giornata".
Abbiamo fatto tesoro del suo consiglio, in serata siamo entrati, timidi e spaesati nella caserma.
Ci ha accolto l'ufficiale di picchetto che ha registrato le nostre generalità e ci ha affidato al caporale che ci ha accompagnato in camerata.

Le camerate erano enormi e vuote, i soldati erano in libera uscita.
Erano costituite da un largo e lungo corridoio con a destra e a sinistra stanzoni contenenti file di brande con letti a castello che non avevano la rete ma un robusto telo agganciato come una
amaca alle spalliere, il materasso di crine somigliava più ad un giaciglio.
Nella parete in fondo una grande finestra che dava sull'ampio cortile.
Io e un ragazzo di Udine di nome Paolo avevamo fatto amicizia, abbiamo scelto le due brande vicino alla finestra e occupato i letti superiori, come ci aveva consigliato il caporale.
Eravamo stanchissimi, erano le 23, ci siamo preparati il letto e coricati, intanto erano rientrati
i soldati in libera uscita e di li a poco suonò il silenzio. Mi addormentai profondamente.

Alle sei del mattino ho aperto gli occhi al suono della tromba che annunciava la sveglia.
Dopo le pulizie bisognava sistemare la branda che doveva essere lasciata in perfetto ordine, pena una punizione: occorreva piegare il materasso verso la testa, metterci sopra le lenzuola e le coperte ripiegate alla perfezione, l'ultima coperta doveva essere piegata in modo da poterla infilare sotto il materasso e ricoprire il tutto.
Terminato il lavoro si scendeva a colazione: c'era del caffelatte, pane e marmellata.
I più anziani dicevano che il caffelatte conteneva del bromuro che avrebbe sedato i nostri bollenti spiriti. Dopo mangiato ci lasciavano tornare in camera, faceva troppo freddo e non avevamo ancora il necessario per marciare e addestrarci in cortile.
Trascorsi un paio di giorni un caporale ci condusse nel deposito dei corredi delle reclute.
Ci hanno fornito di tutto: divisa, cappotto, camice, tute, scarpe, maglie di lana, mutande, gavetta.....
Paolo ed io eravamo tra i primi arrivati e abbiamo potuto scegliere con calma i capi d'abbigliamento. Il maresciallo, che era il capo di questo reparto, ci consigliava le taglie e di misurare i vestiti.
Grazie alle mie reminiscenze del collegio, preso ago, filo e forbici, mi sono adattato
molto meglio tutti i capi.
Arrivò il giorno della vaccinazione. In infermeria, tutti in fila a torso nudo, passavamo uno per uno
davanti all'infermiere che inoculava il vaccino, accanto a lui un altro apprendista infermiere
ci strofinava la mammella sinistra con un batuffolo di ovatta imbevuto di alcool.
Il Tenente di turno controllava il tutto: veniva usata una unica grande siringa, più volte disinfettata
e più volte cambiato l'ago. Oggi non si usa più fare così per il pericolo di contagio di altre malattie.
L'iniezione nel petto con una grande siringa impauriva molti e alcuni cadevano svenuti.
Quando fu il mio turno tesi i muscoli e mi voltai dall'altra parte, ebbi la sensazione di ricevere una coltellata nel petto. Il Tenente ordinò a tutti di rimanere in branda poiché la reazione del vaccino poteva far venire febbre alta. Infatti a me arrivò fino a 38 e mezzo.
Non tutti i mali vengono per nuocere: il giorno dopo era di turno la mia squadra per ramazzare e lavare le marmitte in cucina, io rimasi a letto.
Una volta formate le squadre, la mattina sveglia alle sei ancora con il buio, colazione, indossare tuta e scarponi e a marciare nel cortile comandati da un inflessibile caporale.
La terra e la neve avevano formato una sorta di fanghiglia che ad ogni passo schizzava dappertutto:
sulla tuta, in faccia, negli occhi; tornati in camera dovevamo cambiarci totalmente.
Ancora peggio andava quando marciavamo con in mano il vecchio fucile 91-38: le dita si si irrigidivano per il freddo, diventavano pezzi di ghiaccio e alla fine staccare il fucile dalla mano
era dolorosissimo.
Intanto è arrivato il primo giorno di libera uscita, dovevamo presentarci davanti all'ufficiale di
picchetto con la divisa pulita e stirata, con scarpe lucidissime, barba fatta e capelli corti, chi non ottemperava alla regola rimaneva in caserma "consegnato".

A cuneo quell'inverno fu uno dei più rigidi. Durante la notte all'interno delle grandi finestre
i vetri si appannavano per il calore dei nostri respiri e ci si formava un strato di ghiaccio di un centimetro.


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